Sezione televisione
Nico Piro (RAI3)
Motivazione:
“Nico Piro è l’incrocio tra la migliore tradizione degli inviati di guerra e la Terza rete Rai e il new journalism. Dal passato ha ereditato una scelta – dare voce a chi non ha voce – e un modo di lavorare: andare sui posti, accanto alla notizia, e mescolarsi con gli ultimi.
Dalle nuove tecnologie ha preso il linguaggio, la mobilità, la versatilità tra i documentari, il blog, i libri. Non è uno da mordi e fuggi: ha seguito i profughi dall’Afghanistan – sua grande passione – fino in Grecia. Ma non è neppure, come si sarebbe detto una volta, un terzomondista, catturato per sempre e solo dalle periferie del mondo: ha seguito con acume le presidenziali americane nelle pieghe più profonde. Il suo ultimo libro sin dal titolo. Specie di questi tempi, è la confessione orgogliosa di un’eresia: “Maledetti pacifisti”.
Sezione fotografia
Alfredo Bosco (Fotoreporter Freelance)
Motivazione:
“Alfredo Bosco è un giovane fotografo che lavora con una professionalità rara. Si è occupato di Donbass nei momenti in cui nessuno riteneva quel conflitto degno di attenzione. Ha continuato a farlo anche quando era difficile, da freelance, pubblicare i suoi lavori, dimostrando così di non voler mai seguire i flussi e riflussi del mondo dell’informazione. In più di un’occasione ha affrontato con calma e lucidità le situazioni difficili e pericolose senza cedere a facili protagonismi. E’ stato in grado di lavorare con diversi linguaggi, senza abbassare il livello di qualità e, soprattutto, sempre verificando quello che avrebbe poi detto, fotografato, scritto. Schivo e poco incline alle spettacolarizzazioni, fa parte di quelle persone a cui non importa di lavorare nell’ombra per anni ma che danno un contributo fondamentale alla ricerca della verità e al mantenimento dell’etica giornalistica.
Ha sempre scelto la collaborazione con i colleghi mettendo da parte la necessità di arrivare prima e cercare esclusive”.
Sezione podcast
Jacopo Ottenga (Giornalista Freelance)
Motivazione:
“Entusiasmo, impegno e dedizione caratterizzano il puntuale e appassionato lavoro di Jacopo Ottenga nel podcast-inchiesta “La congiura del silenzio” per Rai Play Sound, dove scandaglia il caso Antonio Russo. Ottenga riannoda i fili delle inchieste giudiziarie che sono state aperte a seguito dell’omicidio del reporter. Evidenzia quelle che sono state le lacune, le incongruenze e i depistaggi. Mesi e mesi – in piena pandemia – di lavoro intenso, di raccolta materiali di archivio, in cui Ottenga ha spulciato le carte, raccolto interviste e curato ogni dettaglio. Il giovane giornalista francavillese, che da bambino fu tanto colpito dalla morte di Antonio Russo, ha dimostrato profondità di analisi e grande trasversalità passando dalla carta stampata al podcasting, realizzando persino le musiche”.
Sezione carta stampata
Francesco Semprimi (La Stampa)
Motivazione:
“Il reportage di guerra nel sangue dall’Afghanistan con i soldati americani alla battaglia per liberare Sirte dalle bandiere nere fra attacchi suicidi e combattimenti senza pietà fino alla fuga. Francesco Semprini, inviato della Stampa, racconta il lato disumano della guerra, ma non ha mai perso di vista quello umano degli afghani abbandonati a se stessi, dei miliziani libici in prima linea con gli orsacchiotti dei figli come portafortuna, dei profughi in fuga di Mosul davanti ai tagliagole del Califfo, dei dannati del Donbass costretti a vivere nelle catacombe moderne per proteggersi dalle bombe. E lo ha dimostrato nei lunghi reportage in Ucraina, dove, più di una volta, si è fatto amico la paura con schegge e colpi di artiglieria caduti troppo vicini. In zona di guerra mantiene sempre quello spirito romanesco che allenta la tensione, ma dall’ 11 settembre vive e lavora a New York come corrispondente. “Fra’”, per gli amici, non fa parte del coro, come Antonio Russo”.
Premio alla memoria
Andy Rocchelli (Fotoreporter Frellance)
Motivazione:
“Aveva sempre sostenuto la necessità di essere presente nei luoghi in cui si combatteva, di non arrendersi mai alle tesi di comodo, di accertare di persona quello che accadeva per vedere, fotografare, documentare tutto ciò che era possibile: la pericolosità delle armi, l’asprezza della guerra, la sofferenza delle popolazioni civili. E questa sua regola, la tenace ricerca della verità, Andrea (Andy) Rocchelli, poco più che trentenne, di Pavia, fotoreporter freelance, l’aveva sempre fortemente perseguita, in zone di pesanti violazioni dei diritti umani sia all’estero durante le primavere arabe, in Libia, in Tunisia, in Inguscezia o Kirghizistan, sia in Italia. La regola era che il suo lavoro dovesse essere anzitutto un servizio alla collettività. E quel giorno, il 24 maggio di otto anni fa, durante il primo conflitto fra ucraini e russi, col suo collega fidatissimo Andrej Mironov, un giornalista e attivista per i diritti umani, e William Roguelon, altro collega francese, aveva raggiunto nei pressi di Sloviansk, nel Donbass, una postazione da dove poteva documentare il fuoco incrociato tra le due fazioni.
Qualcuno, dalla parte ucraina, notò i 3 civili, incluso Andy, che si erano sistemati in prossimità della ferrovia, un luogo da loro spesso frequentato. All’arrivo non erano in corso attacchi, i 3 erano peraltro in abiti civili “occidentali”, non erano armati e non mostravano atteggiamenti aggressivi; sono arrivati in taxi con scritta ben visibile.
Non potevano dunque passare per attentatori. I reporter sono rimasti circa 5 minuti sul luogo prima che fossero oggetto dei primi spari di fucile e/o mitragliatrice. Rocchelli e Mironov persero la vita, il francese fu gravemente ferito. Il fuoco durò circa 40 minuti, (le foto scattate da Andy Rocchelli ne testimoniano alcuni momenti) con l’utilizzo di 3, forse 4 armi diverse (quella mortale per il fotoreporter italiano fu un mortaio ucraino). Nessuno doveva uscirne vivo. Fu un attacco molto determinato e coordinato con vari attori e responsabili tra cui il miliziano Markiv, un “osservatore”, non il responsabile ma una figura coinvolta e condannata in assise per omicidio in concorso con ignoti. Gli altri responsabili tuttavia sono stati individuati ma rimangono tutt’ora impuniti. Andrea Rocchelli ha perso la vita solo per aver fatto bene il suo mestiere: un giornalista libero, coraggioso ma non sprovveduto. Nonostante questo è caduto vittima di chi ha voluto porre fine al suo impegno nelle inchieste contro la corruzione e le violazioni dei diritti umani. Come è accaduto per Antonio Russo e a tanti altri come loro, per i quali giustizia non è ancora compiuta”.